Categoria: Riflessioni
Codici
Certe cose non diventano mai facili. Come imparare cose nuove, di cui hai sempre fatto a meno: fino a ieri, non ti toccavano.
Come pagare un’assicurazione o sbrinare il freezer: d’un tratto, ti trovi davanti a tutto quel ghiaccio e devi decidere se volare o cadere.
I Cani, Glamour: recensione a semifreddo
Non mi commuovono le stori ingenue, la captatio benevolentiae e i paraculi: amo la sincerità e preferisco non avere aspettative. Volevo che tu mi raccontassi, Niccolò, e quest’anno la cosa t’è uscita un po’ a metà.
Soprattutto, volevo che raccontassi ancora di me e di noi e invece hai raccontato, solo un po’ – troppo po’ – di te.
Io e te abbiamo sempre vissuto in un mondo austero: sei un po’ più piccolo di me, ma mi avevi fatto arrossire con la tua lucidità, la tua capacità di sintesi, le tue storie così vive e così vere. E così mie e così di tutti.
This generation is easyJet
Le relazioni sono complicate, sono fatte di incroci, crocevia, deviazioni. Devi stare attento, rischi di perderti.
E a volte non basta e non c’entra la fortuna, ma devi mettercela tutta per far funzionare le cose, anche con tremila chilometri in mezzo.
Orfani di Bonelli: recensione a semifreddo
Qualche giorno fa è uscito Orfani, di Bonelli. Se n’è fatto un bel parlare, gente seria e meno seria ha detto cose serie e meno serie.
Io, onestamente, mi sono preso un po’ di tempo per pensarci su. Perché parliamo di una miniserie di dodici uscite e mi sembra azzardato farne una recensione a caldo: in fondo, è un progetto che ha un anno per fare il botto e solo un paio di numeri per colpire davvero il lettore.
Ma, allora com’è sto Dragonero?
Luca Enoch, per me, è uno bravo. Ma veramente bravo. Ho perso il conto delle cose belle, sue, che ho letto. Soprattutto Lilith, ovviamente, ma anche Gea e Legs le ho amate (e recuperate, quasi tutte, in ritardo).
Quindi, quando letto dell’arrivo di una serie Bonelli su Dragonero – a marzo, credo – sono quasi saltato sulla sedia dalla gioia.
Pausa caffè
Ci sono rimasti pochi riti di passaggio. Uno di questi, persiste stoicamente alla postmodernità, separando la fanciullezza dall’adolescenza. In genere è una frase, o un gesto, preferibilmente pronunciato o compiuto da una madre: che ti chieda “ti faccio un caffè?” o che te lo porti e zitta, è lì che capisci (o dovresti capirlo) che il tuo torneo di ISS Pro o il tuo pomeriggio di studio non avranno mai più lo stesso sapore.
Cravatte
Certe cose sono complicate. A prescindere. Come fare il nodo alla cravatta: passa sotto, passa sopra, gira a destra… alla fine ti ritrovi con una specie di mandarancio attaccato sotto al collo. Un “mappuozzo” di nodi.
Colloqui
Fino ai diciotto anni, “colloquio” è una parola che genera un misto di paura e agitazione: in genere significa che i tuoi genitori devono andare a scuola e parlare con il Prof di matematica, che dovrai giustificarti in una giungla di “è intelligente, ma non si applica” nella speranza che arrivi il prima possibile la frase “avanti il prossimo”. Si sa, fino a diciotto anni la vita è complicata.
Quando cominci l’università, “colloquio” comincia a essere l’esame: ancora, il Prof. che ti cazzea e ti manda via perché “è intelligente, ma non si applica” (che ti da del lei, il professore), nella vana speranza che il supplizio finisca e il prof pronunci la fatidica frase “avanti il prossimo”.
Il cavaliere oscuro
Nel corso della vita, ti capita di scontrarti prima o poi con quella parte di te che non hai voglia di accettare, quel tuo lato osceno e oscuro che ti neghi da sempre.
In alcuni la cosa è più facile, in altri più difficile, ma ti tocca mettere il guinzaglio alla cosa. Non è questione di convenienza né di sopravvivenza: sei sopravvissuto già alle sue libertà, alle sue sortite. Non si tratta di sopprimere, ma di addomesticare.
Quinto podere
Questo non doveva essere uno di quei post lagnosi sulla laudatio temporis acti: lodare il tempo passato mi sembra una pratica sterile, che impedisce di confrontarsi con il tempo presente. Però mi ricordo la mia professoressa delle medie che, quando qualcuno di noi ragazzotti sbagliava un congiuntivo o balbettava un condizionale urlava “CACCHIO, I FONDAMENTALI!” e ci rimandava a posto.
Ecco, quello che urlo io, quando leggo o ascolto certi commentatori, quando leggo certi refusi, è qualcosa tipo “CACCHIO, I FONDAMENTALI” ma meno tollerante. Tipo la mia Prof. di matematica delle medie: invito lo scrivano di turno a tornarsene a zappare la terra. E glielo direi dal vivo, se potessi.